Dal grembo di mia madre
Insegnamento 2025/6 del 16 febbraio 2025 “Sei tu il mio Dio” Salmi 22 e 51
Cari amici,
credo sia buono ancora approfondire questo tema della preghiera. Il primo aspetto di cui voglio parlarvi è quello dell’ascolto e il primo ascolto che io vivo nella preghiera e l’ascolto di quello che ho dentro: dei miei stati d’animo, delle mie emozioni, dei miei rimorsi, dei miei pentimenti, delle mie sofferenze, delle mie delusioni; è un tempo in cui mi fermo e riprendo il contatto con me stesso, con quello che è la vita interiore e questo riguarda tutto il mio essere: anima e corpo.
Anche il corpo è parte di questo, esprime quello che abbiamo dentro: l’angoscia, la paura, il senso di solitudine sono cose che percepiamo anche fisicamente e allora ci si ferma ci si mette una situazione personale che aiuta, può essere stare fermi seduti in chiesa, può essere in mezzo alla natura, può essere nella propria stanza, può essere acciambellati sul letto. Cerchiamo la situazione migliore in cui il corpo partecipa a questa ricerca di contatto con la parte interiore.
E le parole diventano importanti. Così vi propongo due salmi, come guida per rientrare in contatto con la propria anima. Il Salmo 22 esprime una situazione di prova estrema della vita, di fronte alla quale uno dice: “Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato”; e da lì riesce ad esprimere a Dio tutto ciò che gli crea sofferenza: essere disprezzati, essere al centro di sentimenti negativi da parte degli altri, questo è il salmo 22.
Poi c’è il salmo 51 dove c’è invece il rimorso, la consapevolezza di aver fatto un errore; è un percorso in cui non rimanere fissi sul proprio soffrire, ma riconoscere che anche noi siamo capaci di fare il male e lì si crea uno spazio per la conversione.
Sono due percorsi, i Salmi dovrebbero essere cantati, all’epoca erano cantati; la musica, il canto tocca ancora di più la parte interiore. Questi due canti ci mettono in moto e ci spingono a riconoscere, ad ascoltare, ciò che la nostra anima dentro vive, soffre, vuole esprimere, perché venendo fuori ci dice cosa c’è dentro, ci sono cose che a volte nascondiamo a noi stessi, cose con cui nella vita di tutti i giorni non sempre riusciamo ad entrare in contatto.
Allora nella preghiera riconosciamo che dentro di noi è rimasto qualcosa del male che gli altri ci hanno fatto, ed anche è rimasto qualcosa del male che noi abbiamo fatto, e ponendoci di fronte a Dio con questi due salmi, sono portato a riconoscere che Dio comunque è il mio Dio.
Io mi sono fermato sul versetto “dal grembo di mia madre tu sei mio Dio”, qualsiasi cosa ho sofferto tu sei il mio Dio fin dall’inizio, questo dà equilibrio, lui può vincere ogni cosa, se mi spinge ad affrontare alcune avventure, se lascia che sia anche vittima del male, non si è scordato di me.
Nel salmo 51 c’è un versetto che presenta la stessa situazione esistenziale, dove dice “nel peccato mi ha concepito mia madre”, la vita è una condizione nella quale fin dall’inizio siamo come uomini fragili esposti a qualcosa di negativo.
Questo modo di entrare in preghiera, facendo entrare Dio in questi aspetti della nostra vita interiore, è un modo per esserci, essere noi stessi lì nella preghiera, altrimenti rischiamo di rimanere su una formula in cui preghiamo la preghiera di altri, ma noi in quei momenti dome siamo, cosa siamo?
E invece è così importante far emergere ciò che abbiamo nel cuore, con tutto ciò che è buono e cattivo, dal cuore escono cose buone e cattive, e lì che l’uomo decide cosa è la sua vita.
Noi in preghiera portiamo l’angoscia e la morte dataci da altri e l’angoscia e la morte dataci da noi stessi e le poniamo di fronte a Dio, le esprimiamo, è un grido, nei salmi a volte scritto, “io grido a Dio”.
Vedo questo come il primo ascolto necessario nella preghiera l’ascolto di ciò che c’è dentro di noi: esserci, nella nostra verità e interezza è il primo passo per avere un rapporto con Dio.