Dissare Francesco Rossi? Non resisto!
Articolo publicato sul giornale PENSIERO n. 12
Nel n. 11 di Pensiero, ho scritto l’articolo: Resurrezione per non credenti e Francesco Rossi ne ha scritto un altro dal titolo: La Pasqua? Non esiste!. La redazione mi ha proposto: te la senti di rispondergli? Come fosse un dialogo.
Mi sono immaginato questo scambio di opinioni, un po’ acceso. Due posizioni contrapposte, dove serve un po’ di pepe per rendere la cosa interessante. Mi è venuto in mente il dissing della musica rap, dove un artista prende in giro, critica o addirittura insulta un altro artista, tutto rigorosamente in rima rappata, vince chi affila meglio le parole e affonda il colpo. Ricordo che accade qualcosa di simile nella commedia Cyrano de Bergerac, il poeta spadaccino, che amava sfidare a duello i suoi avversari, più per il gusto di ferirne l’orgoglio con rime sferzanti, che per colpirli con la lama della spada.
Primo affondo: Francesco io ti conosco solo per il tuo articolo, così affondo il colpo sulle tue parole e vediamo cosa succede: sei sicuro che la tua generazione abbia perso il senso della tradizione? Io sono degli anni ’60 e già allora la tradizione pasquale degli adulti consisteva in mangiate, ritrovo tra parenti, viaggi, amici, scampagnate. Tanto che Pasquetta andava acquisendo quasi più risalto di Pasqua. Il materialismo e il consumismo erano i valori dell’epoca e i giovani sono stati coerenti nel tramandare quei valori e quei riti fino ad oggi. La tradizione continua, solo che gli adulti ne hanno mutato il contenuto e i valori.
Secondo affondo: Francesco, sei sicuro che specialmente nelle nuove generazioni ci sia totale disinteresse al puro fenomeno religioso? In apparenza i giovani sono non credenti al religioso e sono coerenti con il materialismo. In realtà io ho spesso occasione di toccare con mano quanto abbiano una mente davvero pensante e quanto prendano seriamente le domande “Quali origini?”, “Quale verità?”, non sul rito della Pasqua materialista, ma sulla loro vita, su ciò che li anima e agita interiormente.
Mercoledì prima di Pasqua, la preside di una scuola superiore, ha organizzato una messa per i suoi 160 alunni, tra i 14 e i 18 anni e mi ha chiesto di celebrarla. Nella predica ho parlato dell’articolo sulla resurrezione per non credenti, perché ho immaginato che non tutti credessero. Terminata la messa, ero vicino alla porta d’uscita e i 160 ragazzi stavano andando via. Una ragazza si è avvicinata e mi ha detto: “Io però non credo, sono atea. Come facciamo?”. Mi ha colpito che sia venuta a dirmelo, che ci abbia tenuto a rispondere alla mia offerta di dialogo. Il confronto è stato veloce, ma personale. Lei rimarrà della sua idea, ma in me rimarrà sempre il ricordo di questa sensazione dolce e bellissima di una persona che mi ha confidato se stessa, una sua parte preziosa, le sue convinzioni profonde.
I giovani si chiedono se quello che propongono loro gli adulti sia da tramandare o da abbandonare. Le decisioni che prendono potrebbero essere per noi interessanti? Nel tenere alcune cose e nel lasciarne andare altre, potrebbero avere ragione loro? Potremmo essere stati noi ad aver scelto cose di poco valore per la nostra vita e magari loro se ne sono accorti?
Non mi sembra una proposta buona, quella di una vita che, come racconti dei tuoi amici e colleghi, sia fata solo di lavoro interrotta ogni tanto da un giorno di riposo assoluto, in vista delle nuove sfide … di fronte al monitor di un pc.